A story #1

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    Once a Slytherin
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    Questi sono i momenti in cui nulla è importante. Non conta dove sei o chi sei, conta solo quello che stai facendo e io sto andando a scuola. E non esiste una scuola divertente o piacevole, se dovessero dirvelo, non cascateci mai. Nemmeno questa. Questi corridoi sono affollati, fin troppo stretti quando gli studenti non sono costretti a stare in una stupida aula a scrivere o esercitarsi per imparare a governare i loro poteri. L'odore forte degli studenti impregna queste mura, soffocandomi. E' fastidioso camminare, in cerca di una meta dove trascorrere i momenti morti, mentre nessuno ti vede e vieni spinto un po' ovunque, qualche volta vai a sbattere contro il flusso inarrestabile delle persone, altre volte sbatti contro i muri e rischi di farti male. Ci fai l'abitudine, dopo un po'. O almeno così dicono.
    L'intervallo è insopportabile, c'è un tale frastuono fuori dall'aula che per me è un piacere restare fermo al mio posto. La nostra fortuna è che, essendo al primo anno, la maggior parte delle lezioni è teorica e, pertanto, restiamo fermi al nostro posto, immobili ad osservare il tempo che scorre, inesorabilmente comandati da quelle persone che si posano schiena alla lavagna. Li chiamano adulti, insegnanti per la precisione, e noi dobbiamo sempre salutarli educatamente "buon giorno" e "buon pomeriggio a seconda dei momenti della giornata, pur non essendo ricambiati.
    Mi basta guardare fuori dalla finestra, del nostro misero primo piano, per perdere la cognizione del tempo. Mi sembra di rivedere il primo giorno di scuola, quando, combattuto sono entrato in un'ambiente ostile chiedendomi dove fosse meglio sedersi. Ho osservato velocemente la stanza, ponderando Napoleone e la finestra, ma alla fine ho optato per la via di mezzo. Ho il banco attaccato al muro che divide due finestre. Così, quando voglio posso appoggiarmi e confidare nella fermezza di Napoleone, oppure guardare altrove cercando di cancellare il grigio delle immagini e volando altrove. E' vi sembra strano dare un nome ad un muro, vero? Napoleone. Lo fa sembrare amichevole, anche se, non appena giungi in classe, alla prima ora e ti appoggi è tanto freddo da svegliarti immediatamente. Napoleone non è simpatico, in quei momenti.
    Sapete perché mi ritengo così fortunato? Perché riesco a non annoiarmi mai. Leggo spesso e volentieri, qualche volta leggo lo stesso libro più volte, oppure, disegno. Il mio diario scolastico non sembra affatto un diario ora che sono passati alcuni mesi dall'inizio della scuola. Ho inserito fotografie, alcune in formato fototessera, ma anche poesie, frasi acchiappate qua e la e disegni. Soprattutto disegni. Scrivo, disegno e coloro molto. Forse perché non mi costringe a parlare con chi mi sta intorno. So che non potete vedere i miei compagni di classe, chiaramente, ma forse posso aiutarvi a capire cosa succede qui.
    Le ragazze si coalizzano. E si odiano contemporaneamente. E' un po' come essere felici e tristi nello stesso preciso istante, senza una logica precisa, insomma è destabilizzante. Loro parlano parecchio, si guardano e si salutano riempiendosi di baci. Sapete quanto risultano ridicole? Eh già. Perché un minuto dopo, se una di loro esce dagli schemi, le altre le saltano addosso. Fa ridere, sembra di vedere un film in bianco e nero, oppure Benny Hill. Ce l'avete presente? Quella musichetta snervante a ritmi e decibel alti? Le ho già viste, parlare male l'una dell'altra per come sono vestite, per quanto spesso o poco spesso si cambiano, per l'abbinamento di maglione e calze oppure, semplicemente, perché qualcuna ci prova con la persona sbagliata. E, badate, la persona sbagliata non è così definita in quanto è una brutta persona, ma lo è per invidia. Non ho ancora capito chi devo ringraziare per non aver ancora assistito alle urla di qualcuna di loro, ma quando lo capirò gli (o le) porterò anche una scatola di cioccolatini. Ritengo che questo sia più che un successo: un miracolo. Probabilmente ciò avviene perché le ragazze hanno superato i quindici anni. O giù di li. La maturità è una buona cosa, quando viene acquisita.
    Tornando ai compagni di classe resta in discussione la parte maschile. Decisamente più leggera e meno subdola della prima, ma non senza problematiche. Il discorso principale riguarda il calcio, poi si passa alle ragazze, poi al tempo libero, poi alla famiglia, poi alle banalità, poi alla scuola. Ci si diverte qualche volta, ma tutto capita male quando si ha voglia di trattare dei temi più seri. E non intendo dire che bisogna parlare dell'effetto serra o di come dovrebbe evolvere la politica del nostro paese. Davvero. Basterebbe parlare della società che ci circonda qualche volta. Qualche misera volta. Non sempre, appunto, ma continuare a parlare delle peggiori cose, di banalità o scherzare su tutto e tutti mi fa sentire insignificante. Non è in questo modo che si ottiene il benessere, non è questa la felicità che vado cercando.
    Ridere su quello che gli altri dicono, lascia sempre, quantomeno a me, un senso di inadeguatezza. Sono fermamente convinto che osservare i punti di debolezza delle altre persone sia un segnale di debolezza verso di noi. E' come dirsi "sei debole, perciò porta in evidenza le debolezze altrui, così che le tue si notino di meno". Ecco perché sono, in un certo qual modo, costretto a fare tutt'altro in quei momenti dedicati allo scambio interpersonale. Ho paura? Me lo chiedo ogni giorno. Ogni attimo in cui fuggo. Forse ho anche paura delle altre persone, di soffrire, perché sento che il mio modo di osservare, di vivere, è totalmente diverso dal loro. Io non cerco la banalità e in quel mondo mi sento solo fuori posto. Sono forse rotto? Probabile. Ritengo che la banalità sia un difetto e sto facendo di tutto per non essere uguale alla massa. Ma ho quindici anni. Non posso fare tutto.
    Perso in tutto questo mondo, mi sono accorto a stento che la campanella è suonata a segnalare la ripresa delle lezioni. Chiudo il libro con un tonfo e indosso il mio sorriso migliore, salutando con un "buon giorno" il professore appena giunto, cercando di staccare la spina e di sintonizzarmi sulla lezione che sta per iniziare: inglese.
    A scanso di equivoci, voglio dirvi che io sono Charlie. Ho paura del mondo, ho paura di essere banale, ho paura di sbagliare, di fare del male alle persone che vivono intorno a me e che interagiscono con la mia vita. Sono Charlie e ho paura di tutto, ma questa e la vita e l'adolescenza è la cosa più assurda che ho visto fino ad ora.
     
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